Volere è potere?
Come la determinazione e la forza di volontà partecipano al raggiungimento di un obiettivo
In che misura la forza di volontà concorre a raggiungere un obiettivo prefissato? È sufficiente la testa per realizzare un sogno, nello sport così come nella vita?
Alla cena "sociale" degli FPL di quest'anno, tra un casoncello e un pezzo di grigliata, ci siamo posti questa domanda. Partendo dalle imprese raccontate nei libri di grandi alpinisti, da Reinhold Messner a Simone Moro, da Ueli Steck a Alex Honnold, ci siamo interrogati sulla necessità di allenare non solo il fisico, ma anche la testa che, in fin dei conti, comanda il fisico.
Qualcuno ha azzardato a fornire ipotetiche percentuali: chi ha proposto un 90% testa - 10% gambe, chi ha bilanciato con un 60% - 40%, chi ha sentenziato: "Senza gambe non vai da nessuna parte!".
Difficile dare una risposta precisa. Più volte ho rinunciato a una cima perché non avevo più fiato o perché le gambe non giravano. Ma era veramente il mio fisico a dirmi di mollare? O forse non c'era la determinazione e la voglia di arrivare in vetta?
Il recente libro "Perché lassù", edito da Mondadori, indaga le ragioni che spingono 15 famosi alpinisti a salire in alto, sempre più in alto, a volte fino al limite estremo. Tra i meravigliosi racconti di Walter Bonatti, un suo pensiero ha attirato la mia attenzione:
"Penso che sia proprio quando sogni a occhi aperti che concepisci le cose più affini alla tua sensibilità.
Le mie imprese, infatti, hanno cominciato a esistere nel momento stesso in cui prendevano forma nella mia testa.
Tradurle poi nella realtà non è stato che un seguito logico di quella prima scintilla."
Cosa vuol dirci il mitico esploratore bergamasco? Ci insegna che è fondamentale avere un sogno personale, non condizionato dall'esterno. L'obiettivo deve essere il tuo: non puoi sognare il sogno degli altri, solo per dimostrare di valere qualcosa. E già l'azione del sognare partecipa alla realizzazione dell'impresa, ma deve essere affine alle tue capacità.
Federica Pellegrini, indiscussa regina del nuoto, nel giorno della sua quinta finale olimpica nei 200 stile libero, ha dichiarato:
"Con l'età ho imparato a pormi obiettivi fattibili. Difficili, ma fattibili e senza sognare l'impossibile."
Per me, e penso per ogni bresciano che frequenta la montagna, la cima dell'Adamello ha sempre rappresentato un obiettivo importante, un piccolo sogno. E' la montagna più alta del territorio bresciano e il 7 luglio 2018 la sua cima è stata proclamata "Vetta sacra alla patria" per il sacrificio di molti cittadini nella prima guerra mondiale. Ogni via di salita ha la sua difficoltà, come sostiene Rino del rifugio Prudenzini: "L'Adamello te lo devi sudare fino alla fine, non ti regala niente!".
E così, quando è stato proposto nel nostro gruppo, mi sono subito fatto avanti. La via scelta dal rifugio Prudenzini è lunga ma non presenta ostacoli tecnici. "È la volta buona" - ho pensato - "Ce la posso fare".
Partiamo dal rifugio col buio, affrontiamo il primo ripido tratto ancora innevato fino al Passo Salarno in 3 ore e ci incamminiamo legati sul Pian di Neve. La giornata è fantastica, non c'è nessuno, solo le nostre cordate nell'immensità del ghiacciaio, tra i più estesi d'Europa.
Più avanti, quando le pendenze iniziano a farsi importanti salendo verso la cresta finale, una nebbia spessa copre la cima come un brutto presagio. La gambe sono pesanti, ho la sensazione di trascinarmi; faccio venti passi e mi fermo per rallentare i battiti del cuore che pulsa senza sosta. Penso a tutta la strada che dovremo affrontare nel ritorno e per la prima volta prendo in considerazione l'idea di fermarmi e di tornare indietro. Comunico agli altri le mie difficoltà, nella speranza di leggere qualche segno di cedimento negli occhi di qualche compagno. Non posso slegarmi e ritornare da solo, sarebbe pericoloso. Ma dalle retrovie arrivano solo incoraggiamenti: "Avanti tutta! Kalipè, passo lento e arriviamo in cima, è appena qui sopra".
Prendo fiato, mangio qualcosa e penso che sarebbe un tradimento cedere proprio adesso: prima di tutto nei confronti dei compagni e poi verso il mio obiettivo, tanto desiderato.
Punto gli occhi al cielo, chiedendo un piccolo aiuto anche da lassù e nel frattempo le nuvole spariscono, lasciando ben visibile l'ultimo tratto da affrontare e la cima finale. Ripartiamo in direzione delle roccette che ci porteranno in cima. La fatica cresce ma ormai sono determinato, impossibile tornare indietro. Sulla roccia ci sleghiamo, mi diverto a trovare la via più semplice per salire il tratto in cresta, ancora due piccoli nevai e... finalmente la cima!
Non posso non trattenere le lacrime, di fronte a tanta bellezza mi esplode in testa un turbinio di emozioni: felicità, gratitudine, meraviglia ma anche stanchezza e fatica; e la gioia di non essermi arreso, di aver raggiunto il traguardo. È stato possibile non solo per la tenacia e la determinazione, ma anche grazie all'aiuto degli amici e alle esperienze accumulate in questi anni di avventure.
Penso che siano proprio questi gli strumenti con cui possiamo realizzare i nostri sogni: far tesoro della vita vissuta, errori compresi; e mettersi sempre in gioco, al di fuori della nostra comfort zone per spostare l'asticella del nostro desiderio, centimetro dopo centimetro, sempre più in là.
Nel video qui sotto, Alberto "Naska" Fontana, racconta come ha realizzato il suo sogno di diventare pilota di moto, mettendo a frutto le esperienze di vita più disparate che si è trovato ad affrontare. Una bella lezione per tutti!