Resto qui
La storia di Curon, in Val Venosta, raccontata nel romanzo di Marco Balzano
L'immagine è tra le più suggestive e famose: il campanile di una chiesa sbuca solitario da un lago di montagna. Siamo nel comune di Curon Venosta, e il bacino d'acqua artificiale è il lago di Resia. Costruito nel dopoguerra per il funzionamento della vicina centrale elettrica, nel suo fondale nasconde una storia di sofferenza delle 150 famiglie che costituivano l'antico borgo di Curon. Nel 1950 il paese viene distrutto e ricostruito più a monte. Tranne il campanile, dichiarato monumento storico.
Lo scrittore Marco Balzano, dopo un lungo lavoro di studio e indagine, ambienta qui il suo romanzo, dal titolo Resto qui (Einaudi editore). I protagonisti sono frutto della fantasia dell'autore ma il contesto e alcuni fatti sono reali, così come alcuni personaggi pubblici.
La storia ha inizio nel 1921, quando i fascisti prendono il controllo del Sudtirolo: nel loro folle tentativo di unificare gli italiani con la violenza, vietano ai cittadini di parlare il tedesco e di lavorare negli uffici pubblici. Trina è una giovane maestra, coraggiosa, tanto da insegnare il tedesco di nascosto ai bambini del paese nelle scuole clandestine. Sposa Erich, un contadino innamorato della sua terra; insieme avranno due figli.
Dopo l'armistizio dell'8 settembre 1943, irrompono i nazisti che cercano soldati da mandare al fronte. Erich, per evitare l'arruolamento, scapperà tra le sue montagne con Trina e vivranno interminabili mesi di miseria, di freddo e di fame. Fino alla fine della guerra, quando sembra tutto rinascere ma il progetto della diga si fa più concreto e iniziano i lavori. Erich, con l'aiuto delle parole di Trina, sarà il portavoce della piccola comunità contro la ditta costruttrice, tra l'indifferenza della Stato e di molti suoi stessi concittadini.
"Simile alla malinconia, diventava la nostra rabbia, non esplodeva mai." - dirà Trina.
Nel racconto, scritto in modo semplice ed efficace, c'è tutto: la resistenza, la guerra, la violenza, l'indifferenza, la miseria; l'amore per la propria famiglia, l'attaccamento alla propria terra; il fascino della montagna.
Sì, perché sullo sfondo ci sono sempre le montagne; quelle vere però. Quelle della fatica dei contadini che portano gli animali al pascolo e fanno il formaggio nei masi. Quelle dei prati incontaminati e dei folti boschi. Non quelle degli chalet e delle spa in quota, raggiungibili comodamente con cabinovie chilometriche. I moderni impianti hanno portato benessere a tutte le comunità montane. Questo è innegabile. Ma a che prezzo? Anche a Curon in nome del progresso hanno annegato un paese, insignificante ai più, ma pur sempre una comunità di persone, rea di essere nata in una terra appetibile economicamente.
Questa storia, tra i molti spunti, ci insegna ad avere ancora più rispetto della montagna, e soprattutto dei loro abitanti. A non pretendere di avere sempre i sentieri puliti, le strade asfaltate libere dalla neve, i menù stellati nei rifugi. Dovremmo invece ringraziare chi, seppur nelle difficoltà, non se n'è andato, ma ha saputo conservare con tenacia il territorio alpino.
Quando passerò sul lago di Resia osserverò quel campanile, cercando di immaginarlo al centro di un piccolo paese di montagna. Le campane a scandire le ore di lavoro; gioiose nei giorni di festa.